giovedì 16 dicembre 2010

Luce quale filo conduttore in Biennale 2010

testi e foto alberto pasetti

 1. García-Abril & Ensamble Studio, Spagna, Corderie

 Come esordisce Kazuyo Sejima “La 12esima mostra internazionale di Architettura, People meet in Architecture è incentrata sull’idea di trovare l’architettura, di riconsiderare la potenzialità della stessa nella società contemporanea”. Non solo, ma Sejima ricorda una filosofia per la Biennale che ha fatto propria: “un concetto provocatorio”. Infatti, dato che è impossibile portare in mostra gli edifici veri e propri, i quali devono essere dunque sostituiti da modelli, disegni e altri oggetti, è compito della nostra professione di architetti utilizzare lo spazio come un mezzo con cui formulare il nostro pensiero: “Ogni partecipante ottiene un suo spazio e agisce come curatore di se stesso”. Egli presenta il proprio tipo di comprensione del tema e di risposta allo stesso, rivelando la propria posizione attraverso la mediazione del luogo. In questa visione dell’esposizione dell’Architettura, le persone, i visitatori, si mescolano e si relazionano anche involontariamente nelle evocazioni spaziali di allestimenti a volte puramente concettuali, a volte astratti e in alcuni casi predisposti per interazioni sensoriali.
Quale rapporto è stabilito tra il progetto tangibile di comunicazione di queste forme di architettura e la luce? Quale luce è associata a queste visioni che pongono questioni di ordine globale legando la sostenibilità, l’ambiente, le risorse energetiche all’interno dei complessi meccanismi relazionali, culturali e biologici dell’uomo?
La risposta è presente in un sottile filo conduttore, percorribile padiglione dopo padiglione, e deve essere assimilata setacciando la qualità e la molteplicità delle proposte, all’interno di un tutt’uno, di una percezione unitaria che finisce per rendersi esplicita solo dopo aver completato la visita e riorganizzato le informazioni visive, lasciandole sedimentare qualche giorno.


 2. The buildingwhichnever-dies, R & Sie, Francia, Corderie.

 3. Cloudscapes, Transsolar & Tetsuo Kondo Architects, Germania, Corderie.

Sequenze nelle Corderie
La prima impressione, più immediata, lascerebbe pensare che non vi sia un progetto chiaro sulla luce strutturato all’origine: è come se tra il significato della luce e la modalità di presentare i contenuti dei singoli padiglioni non vi fosse un legame di complementarietà ma di semplice consequenzialità. Di fatto, in alcuni casi, questo assunto corrisponde a verità, ma solo in situazioni molto limitate, dove appare ovvio l’intervento casuale per risolvere l’illuminazione in maniera funzionale. Diversamente, dai Giardini alle Corderie, si avvicendano progetti di comunicazione, molto diversi tra loro, ma decisamente allineati sul principio di una successione di racconti, siano questi supportati da tecnologie multimediali o da artigianali costruzioni ottenute dall’impiego dei materiali tra i più disparati. L’evocazione simbolica a volte trasgressiva, a volte provocatoria, che i curatori hanno messo in scena sembra comunque attingere allo stesso scopo, sempre rivolto al desiderio di catturare l’attenzione del visitatore rendendolo partecipe dello spazio che attraversa, ma soprattutto emozionandolo! In questo caso è innegabile che la capacità di stimolare emozioni in uno spazio non possa prescindere da una consapevole regia della luce, anche nel caso in cui si tratti di una casuale e fortuita interazione della luce naturale. Nella biennale di Venezia questi eventi non sono rari e rendono ancora più ricca l’esperienza di scoperta e di contemplazione. Infatti, il rapporto che le strutture ospitanti ai giardini stabiliscono con la luce naturale è molto particolare, trattandosi di architetture inserite nel contesto verde alberato in prossimità del bacino lagunare. Diversamente le Corderie, all’Arsenale, rappresentano un affascinante contenitore seriale, in cui le condizioni di rapporto con la luce esterna rimangono pressoché invariate, se non volutamente modificate dai singoli curatori. Infatti, in “Cloudscapes” degli architetti Transsolar & Tetsuo Kondo (Germania) lo spazio è significativamente capovolto, smaterializzato per la presenza di una scenografica nebbia. Il curatore ha espressamente voluto che l’acqua fosse protagonista della scena, una sorta di gigantesca nuvola all’interno della quale compiere un percorso ascensionale lungo una rampa metallica. Il significato simbolico ed evocativo dell’acqua “quale fonte di vita, dagli oceani alla terra…attraverso nubi in stabili equilibri in cui si perpetuano naturalmente” è reso esplicito dalle lame di luce naturale  che fendono lo spazio obliquamente dalle finestre laterali. In questo caso, la spettacolarità e l’intensità dell’esperienza percettiva è strettamente connessa alla variabilità delle luce naturale. Diversamente, in un’altra sala delle Corderie, “The buildingwhichneverdies” è considerata la rappresentazione di una zona off limits, un’area inaccessibile dove i desideri sono resi possibili, rievocando concettualmente il film Stalker di Tarkovsky. La presenza di una forma fluida, di un’isola materica bianca, algida, interagisce con la presenza dell’uomo attraverso la variabilità ritmica di segnali luminosi, quasi rappresentassero una lenta pulsione del battito vitale, espressione dell’unità e unicità dei desideri nella loro globalità. Parafrasando il titolo della biennale, questa sala è il luogo dei desideri dove l’architettura costituisce precisamente il punto d’incontro (“meeting point”), a tal fine la luce naturale è mantenuta delicatamente soffusa. Tuttavia nel percorso lungo delle Corderie si avvicendano numerose altre sequenze di esperienze percettive che richiamano un utilizzo diverso e personalizzato della luce. Forse è proprio in virtù della serialità dell’architettura ospitante che il ritmo e la diversità, da un’installazione all’altra, acquistano una pregnanza così forte e incisiva agli occhi dell’osservatore dilatando o restringendo lo spazio fisico, enfatizzando la matericità storica dell’antica fabbrica di cordami o  sottolineandone semplicemente l’armonia e la maestosità. In questo senso la performance ironica del gigantesco fuori scala di  Anton Garcia-Abrile & Ensamble studio, costituito da imponenti travi incrociate nello spazio, volutamente si dilata verso l’alto, rendendo partecipi le pre-esistenti capriate strutturali storiche, in un senso di continuità tra l’immaginario e l’esistente. Come anticipato inizialmente, il filo conduttore è sottile ma presente e palpabile. Il lungo percorso delle Corderie non si esaurisce con la coinvolgente pellicola 3D di Win Wenders sull’Università di Losanna, ma richiama ancora la fenomenologia di installazioni integrate che si contrappongono alla natura archeologica delle fabbriche dismesse all’estremità dell’Arsenale, a cura della Reppubblica popolare cinese, in uno scenario di apparizioni oniriche, con uccelli pronti a spiccare il volo.
 4. West kowloon cultural district project. Hong Kong a Venezia

 5. The search for salvation, padiglione Egitto

 6. The ark, padiglione Grecia

 7. Sehnsucht, padiglione Germania

 8. Now and when, padiglione Australia

 9. Padiglione Stati Uniti d’America

10. Voids, Aires Mateus e Associados,  palazzo delle esposizioni
Isole nei Giardini
La presenza orientale riemerge appena fuori dall’ingresso della lunga galleria espositiva dell’Arsenale, riportando i visitatori, solo apparentemente, alle più tradizionali rappresentazioni dell’Architettura contemporanea, attraverso la mostra “Hong Kong a Venezia”. In realtà l’esposizione curata da Juan Du si concentra sul “West kowloon cultural disctrict project” attraverso una suggestiva rappresentazione delle tematiche progettuali emergenti “Each exhibit’s installation is a collaboration between architects and other profession to form cross-disciplinary projects for responsible and sustainible design”. Design sostenibile e responsabile sembrano le chiavi centrali di lettura  per rappresentare l’intero spirito di questa biennale che amplifica il suo vigore e la sua eterogeneità nei singoli padiglioni ai Giardini, probabilmente grazie all’indipendenza fisico-architetturale delle singole sedi espositive. Anche per le sedi nazionali distribuite nel parco è valida la suddivisione tra luoghi esposti alla piena luce naturale, luoghi di compromesso tra natura e artificio e infine spazi completamente dedicati al controllo della luce artificiale per ottimizzare l’effetto visivo e rendere più pregnante la partecipazione del visitatore. Nel primo gruppo ricadono i padiglioni quali Germania, Brasile, Serbia e Austria con installazioni molto distanti l’una dall’altra. Il “luogo d’incontro nell’Architettura” è magnificato in un salotto rosso cardinale, nel padiglione tedesco, dove centinaia di disegni di noti architetti decorano le pareti. Il “Sehnsucht” ricercato dai curatori, “Die Walverwandtschafen Monaco, Zurigo e Boston”, esprime i motivi sfuggenti e immateriali dell’architettura, interpretazione di desideri e aspirazioni. Il salotto è luogo d’incontro, di comunicazione e di scambio, mentre le due sale adiacenti esprimono l’una la molteplicità e la serialità dell’aggregazione mentre l’altra è legata al silenzio dell’unicità. Un quadro bianco su sfondo bianco, in una sala con luce diffusa dall’alto, in realtà, si trasforma in un’opera dinamica live art attraverso la sua lenta mutevolezza cangiante: una macchia si espande, vira cromaticamente, quasi si trattasse di una reazione fotochimica alla luce naturale senza fine. Diversamente, Il padiglione dell’Egitto, alla pari di quello della Grecia e degli Stati Uniti d’America appartengono al secondo gruppo, in cui si mescolano e combinano gli effetti della luce naturale variabile con quelli delle luci d’accento puntuali o diffuse artificiali. L’installazione “tutta oro” diretta da Ahmed Mito, in cui è riposto il significato della “ricerca verso la salvezza”, consta di un percorso circolare all’interno di uno spazio immerso in una luce diffusa molto calda che rievoca la forza espressiva di miti e credenze, attraverso le forme simboliche delle antiche civiltà. La luce naturale, in alcune ore pomeridiane, entra dal portone principale e contribuisce ad aumentare l’effetto scenico dei contrasti attraverso le lamiere dorate. In modo analogo, anche la grande arca del padiglione greco, installata per esprimere il raccoglimento e il principio della sopravvivenza, viene inondata dalla luce del sole, enfatizzando la semplicità e la forza espressiva della sua struttura lignea. L’arca simboleggia metaforicamente il rifugio quale cambiamento verso una vita primordiale e, allo stesso tempo, il viaggio che unisce le popolazioni abitanti in luoghi diversi della terra. All’atavico legno, che ne costituisce la sua forma strutturale, sono associate le essenze delle colture e dei prodotti della natura, riscoperti e impiegati per concretizzare una visione di risanamento dell’agricoltura: “Old seeds for new cultures”, attraverso il racconto curatoriale di Gabi Scardi. L’effetto miscellaneo del legno e delle sementi naturali  riconduce, con una luce di tonalità calda, al significato del primo rifugio antico e contemporaneamente alla dimensione di un futuro possibile. Con il padiglione greco è sorprendente osservare come in questa Biennale sia affiancato il valore espressivo di un “seme”, un prodotto naturale, con la complessità artificiale della città in continua evoluzione. Si tratta di un salto interpretativo talmente grande da risultare un continuum coerente se rapportato alla nostra visione globale tra presente e futuro. Di fatto, nel padiglione degli Stati Uniti d’America, la città e il suo concetto di crescita sono protagonisti. Si tratta di una transizione dall’impiego della luce naturale verso la luce artificiale che a sua volte si trasforma in immagine e quindi in architettura. Al diminuire dell’apporto della luce naturale si consolida l’interpretazione programmata con margini di variabilità ponderati e non casuali. Il modello luminoso è al centro dello spazio e lo spazio si smaterializza perché muta continuamente in un gioco di proiezioni a tutta parete. Le possibilità di combinare le variabili sono pressoché infinite ma diventano parte di una scelta finita e quindi di un linguaggio soggettivo, espressione del pensiero curatoriale. Estremizzando il progetto espositivo, nel controllo dello scenario visivo, non può passare inosservata l’installazione del padiglione Australia curata da Ivan Rijavec “Now and When” basata sull’immersione completa del visitatore nella dimensione 3D dello spazio e dei filmati. L’esposizione si basa sul principio di una lettura critica del presente continente australiano e di una creativa visione del futuro. L’intero padiglione è immerso in un’oscurità quasi totale ad eccezione di un’articolazione di linee arancione fosforescenti attivate da lampade di wood. L’allestimento ricorda le sperimentazioni degli anni ’80 sui primi spazi virtuali concepiti al computer, in questo caso ricostruiti a scala umana. Il visitatore, inizialmente destabilizzato dalla perdita di consueti riferimenti spaziali, raggiunge le due sale di proiezione, separate da una scalinata di collegamento, dove viene dotato di occhiali bi-cromatici per la suggestiva lettura tridimensionale. Un altro ambiente simile per la rigorosa regia illuminotecnica è costituito dal padiglione del Canada. In questo caso Philip Beesley affronta un affascinante, quanto delicato, tema legato alla sostenibilità denominato “Hylozoic Ground”. Si tratta di un’installazione interattiva dove è possibile immergersi in una foresta artificiale dinamica in continuo movimento. La struttura, costituita da un’immaginaria natura simile ad una barriera corallina artificiale, è interamente controllata da microprocessori che determinano il pulsare degli effetti luminosi, oltre al morbido movimento alare delle “foglie” acriliche bianche accompagnato dal profondo respiro che le piante infondono a ritmi intervallati. Sfiorando i terminali delle ramificazioni le piante si animano reagendo lentamente. L’intera installazione è concepita come un organismo sospeso che trasmette la luce secondo il principio delle guide di luce, nonostante i puntamenti non siano focalizzati sui terminali ma diretti obliquamente d’alto. L’ilozoismo rispecchia un antico pensiero romano che riteneva che ogni materia possedesse la vita. “Hylozoic Ground” prefigura una nuova generazione di architettura sensibile, evocando la possibilità futura di una struttura geotessile sospesa in grado di accumulare l’energia di un suolo ibrido dell’ambiente circostante. Si tratterebbe di un’intelligenza artificiale integrata, simile a quella degli esseri viventi, che permetterebbe agli umani di interagire, a beneficio della loro salute fisiologica, grazie alla capacità filtrante delle piante con le quali stabilire degli scambi metabolici. Nel suo insieme il progetto si riconduce al principio di trasformazione dell’energia in natura, dove le forme viventi più arcaiche e più remote, come in profondi ambienti marini, coniugano straordinarie forme espressive quali la bioluminescenza per finalità di comunicazione e di sopravvivenza. L’energia, in una visione quantistica, è espressione di infiniti potenziali riconducibili all’unità e probabilmente il filo conduttore, in questa Biennale, si lega ai grandi interrogativi sulle forme di vita del futuro e le sorti del nostro vivere. Nella ricerca quotidiana di nuove formule, di innovative tecnologie e di nuove filosofie dell’abitare e del convivere nelle città in evoluzione, non vi è alcun
dubbio che la luce, in tutte le sue accezioni, rimane il filo conduttore imprescindibile.

11. Hylozoic Ground, Philip Beesley, padiglione Canada


Kazuyo Sejima, curatrice della 12. Biennale internazionale di Architettura ( sponsorizzata dalla Ditta Foscarini ) è nata in Giappone nella prefettura di Ibaraki, nel 1956. Nel 1987 apre un proprio studio a Tokyo. Nel 1995, insieme a Ryue Nishizawa, fonda SANAA, lo studio di Tokyo che ha firmato alcune tra le più innovative opere di architettura realizzate di recente in tutto il mondo, dal New Museum of Contemporary Art di New York, al 21st Century Museum of Contemporary Art di Kanazawa, premiato nel 2004 con il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia. Il suo ultimo progetto inaugurato nel Marzo 2010 riguarda il Rolex Learning Center presso l’Ecole Polytechnique Fédérale di Losanna, oggetto del filmato 3D di Win Wenders presentato alle Tese dell’Arsenale.

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